NAPOLI E LA SUA DIMENSIONE DELL’ESSERE.

Se Napoli è la città del Natale, dove è festa 365 giorni all’anno, andando a spasso per cardi e decumani, vicoli e vicarielli non si può non imbattersi nel suo presepe vivente. Mai lo stesso eppure sempre uguale. Non stiamo parlando di San Gregorio Armeno, la via famosa nel mondo intero per i mastri presepiali che continua a vivere nonostante l’accattonaggio cinese ai tempi del lockdown, ma di quella full immersion che nessuna guida ti racconterà mai. Un po’ come quella regola tutta napoletana che sfugge alle regole a cui tutti si uniformano, napoletanità tipica e topica, di far diventare tronche tutte le parole, ma la parola tronca per davvero diviene sdrucciola: così avremo ‘e sigarètt’, ‘o pullmàn, o meglio, l’autobùs. Ma il paesino piemontese che dà il nome alla storica fermata della antica “Direttissima”  (oggi linea metro 2) nei pressi del Museo Archeologico Nazionale diviene rigorosamente Càvour. Questo è vivere Napoli, è capire che la pizza per dirsi davvero napoletana deve tagliarsi con il coltello la cui lama è rivolta verso l’alto. È come voler mettere il rum in abbondanza, senza sapere che chi nasce stru** nun po’ addiventa’ babà. E per parlare della Napoli dei napoletani parleremo di tre personaggi che sono l’essenza di Napoli. Ma non quella turistica, bensì la Napoli vera, quella che scopri solo vivendola e non visitandola: Giannina; ‘o pa’ ‘o pa’ e Giuseppe Polone. A chi non è mai capitato di rimanere senza sigarette, magari a tarda sera in piena movida a Piazza Bellini, zona Port’Alba, dopo l’orario di chiusura dei tabacchini? Nessun problema: c’era lei, Valeria delle sigarette. Pare si chiamasse Giannina, all’anagrafe Gianni, trans dagli occhi azzurri incorniciati da lunghi capelli biondi mai curati, fisico asciutto e curvo e modi spiccioli, a tratti sgarbati. Vendeva sigarette di contrabbando con un piccolo surplus e e la riconoscevi solo dal suo ritornello “Sigarètt’, cartìn’, buc*hìn” in ossequioso rispetto alla regola di rendere tronca ogni parola pronunciata. Se la trovavi “di genio”, ovvero quando era particolarmente triste e piangente, quando non aveva clienti – e non per le sigarette – potevi ascoltare la sua storia che la voleva figlia di un maresciallo (dei Carabinieri?) e prima avversaria del padre per il suo essere spirito libero, attivista e tra le prime a sdoganare – e non è una battuta per il contrabbando delle sigarette – i diritti per gli omosessuali. Sebbene fedele alle sue idee e al suo essere, Valeria era la prima critica nei confronti del mondo di appartenenza, visto che spesso e volentieri alla fine del suo racconto chiosava “’e ric*hiun’ ‘e mo nun tenen’ ‘e pall’!”. La leggenda vuole che sia stata la musa ispiratrice della canzone di Pino Daniele “Chillo è nu buono guaglione”, brano che conteneva anche un epiteto che non si è mai capito se fosse a lui/lei gradito o meno, visto che non era difficile che il suo racconto si concludesse ben prima di questa rivelazione d’eccezione e senza troppi giri di parole ti attribuiva la destinazione: un bell’invito… di moto a luogo. Di lei non ci sono fotografie e pare che, prima di morire all’ospedale Pellegrini, sia stata vista aggirarsi per port’Alba in compagnia solo di una stampella.
L’altro personaggio aveva anche lui il suo “richiamo”: “‘o pa’, ‘o pa’…”. Qualche fortunato pare abbia assistito anche alla variante “’o pa’, ‘o pa’ a me!”. Nome onomatopeico e interpretativo di “il pane, un po’ di pane per me” e notizie ancora più scarse di quelle di “Giannina”. Trattavasi di un (ormai vecchio) mendicante educatissimo e mai insistente che soleva chiedere una moneta senza petulanza, una sola volta, tanto che non era difficile che, mentre la si recuperava in tasca o in borsa, ‘o pa’ ‘o pa’ si era già allontanato. Ringraziava con lo sguardo e scappava via, a testa bassa, con la sua tipica camminata ondulante, ma rapida. Sarà per questa caratteristica o per il dono dell’ubiquità che gli ha attribuito la leggenda che era facile trovarlo in più posti contemporaneamente? Un mistero quanti chilometri percorresse ogni giorno, da Chiaia ai Quartieri Spagnoli, da Mezzocannone ai Tribunali. Nessuno sapeva niente di lui: come si chiamasse, dove abitasse fino a quando ‘o pa’ ‘o pa’ è stato ricoverato in ospedale e lì un medico, uno dei tantissimi che lo hanno conosciuto quando si aggiravano entrambi per la zona universitaria, lo ha riconosciuto ed ha rivelato quell’aura di mistero che lo ha avvolto per tutta la vita: Umberto Consiglio, morto ad 88 anni.
Ad arricchire il presepe vivente napoletano c’è anche un genio della matematica: Giuseppe Polone. Chi non si è mai imbattuto nel capannello di gente che, incredulo, fissa le sue tabelle piene di numeri magici e turisti e passanti curiosi di capire come funzionasse quei labirinto di numeri che in verticale, in orizzontale o in diagonale danno sempre lo stesso numero! Non c’è trucco e non c’è inganno: Polone è un vero genio della matematica, sebbene abbia conseguito appena la licenza elementare. E fa di più: ti fa scegliere un numero e da questo numero scelto, in appena tre minuti, ti crea seduta stante un quadrato composto da un numero di quadrati indicati dal partecipante la cui somma in tutte e tre le direzioni darà sempre la cifra poc’anzi scelta. Quindi ti premia consegnandoti ufficialmente la laurea in Matematica dell’Università della strada rilasciata rigorosamente dalla sua cattedra di Spaccanapoli. “Napoli è città d’amore”, diceva d’altronde un altro figlio della città come Luciano De Crescenzo, alias il Professor Bellavista, e la missione di Polone è proprio un atto d’amore per la sua città. Originario di Porta Capuana, Polone ha vissuto in giro per il mondo fino a quando ha deciso che la sua passione per i numeri dovrà portare Napoli nel Guinness World Record, allorché si costruirà in Piazza Plebiscito una torre alta 40 metri fatta di quadrati la cui somma farà sempre 40. Prima i metri erano 36, come le reti segnali da Higuain; dopo il tradimento i metri sono aumentati a 40, certo che ci  sarà un calciatore che ne metterà a segno altrettante. Che sia quest’anno l’anno buono? Non si dice, è scaramanzia! Non è vero, ma ci credo… “Voglio dimostrare quanto sono intelligenti i Napoletani” è il suo mantra. E di intelligenza si deve effettivamente parlare, visto che Polone, per sua stessa ammissione, non sa eseguire nemmeno i calcoli con le parentesi, ma sulle divisioni non lo batte nessuno. Dietro ai suoi quadrati magici o al prisma pentagonale recante 625 numeri scritti rigorosamente a mano senza ripetersi mai con cui arreda i muri delle vie del centro storico, c’è una passione vera che ricorda – e supera – quella di Robinson Crusoe: Polone fu costretto per cinque giorni nella Foresta Amazonica e, per non perdere la cognizione del tempo, iniziò a far “quadrare i conti”. E sempre da Polone si legge un cartello, se vogliamo anche autocelebrativo, ma pieno di tutta quella saggezza partenopea che recita “Ogni 2000 anni nasce un genio. 2000 a.C. Pitagora. 2000 d.C. Leonardo. Dal 2000 al 4000 Polone!” Un invito a non disperare, anche per quanto riguarda il presepe vivente napoletano perché, si sa, ‘o napoletano se fa sicco, ma nun more.
Questa è la Napoli bella, questa è Napoli, quella da vivere e da conoscere, non solo da raccontare, questa Napoli che dovrà creare ancora quei nuovi personaggi che diventeranno icone della Napoli che sarà e che daranno vita al nuovo presepe napoletano. Che faranno parlare e non vivere di quella “napolitudine” che ormai sta prendendo piede. Con tanta napoletanità e quel pizzico di cazzimma che è la saggezza ermetica del “non t”o dico ch’è ‘a cazzimma, e chesta è ‘a vera cazzimma!”.