50 ANNI DALLA STRAGE DI PRIMAVALLE : DOLORE E INDIGNAZIONE RESTANO IMMUTATI.

Tornavo dal Liceo quella mattina del 16 Aprile 1973. Per le tredici e trenta spesso riuscivo a rincasare da scuola e accendevo la televisione sintonizzandomi sul primo canale RAI per le notizie del telegiornale. Prima di quell’ora era quasi impossibile conoscere le notizie del giorno. Solo la radio era lo strumento più utile e più gettonato a quel tempo. Ma al mattino, in quegli anni, avevamo la scuola e dunque, niente radio.

Fu la prima notizia di cronaca lanciata dal telegiornale. Un servizio di cronaca veloce con pochi dettagli. Capii solo che si trattava di una tragedia senza precedenti. Gravissima. Mi colse un tremore inarrestabile. Come brividi di freddo. Mia madre mi invitò a tavola. Aveva preparato un primo che adoravo: pasta con i cavolfiore. Riuscii a mandar giù un paio di bocconi. Lo stomaco si era irrimediabilmente chiuso. Uscii di casa rapidamente, chiamai il mio amico Mario che abitava sul mio pianerottolo e scappammo verso la nostra Sezione del quartiere di Fuorigrotta. Era la Sezione “Ettore Muti” del Movimento Sociale Italiano, situata a due passi dal Viale Augusto e da Piazza San Vitale. Luoghi per noi piuttosto “sicuri” in quegli anni turbolenti, tenendo conto che questi quartieri della zona Occidentale di Napoli erano caratterizzati dalla presenza di numerose fabbriche metalmeccaniche come l’Italsider, la Cementir, la Eternit. Sino ad arrivare a Pozzuoli con la Pirelli, l’Olivetti, la Sofer ed altre, ove la presenza dei Comitati di Fabbrica costituivano per i giovani militanti del Fronte della Gioventù una minaccia costante. Salimmo le scale della Sezione in un attimo. Avevamo le chiavi dei locali. Ma rimanemmo sorpresi perché la porta era spalancata. Erano solo le 14,30 e la Sezione era già piena di giovani iscritti al Fronte. E tanti altri ci raggiunsero di lì a poco. Ricordo solo un gran silenzio e le facce stravolte di Giggino, Gian Franco, Salvatore (Tatta) Marcello, Lucio, Alberto, Natale che era il nostro Segretario di Sezione e poi Lidio, Enzo, Peppe, Paolo, Eugenio, Piero, Fefé, Pasquale, Ciro, Lello e chissà quanti altri che ora mi sfuggono. Tutti intorno ad una vecchia radio a valvole per carpire ulteriori notizie. Telefonammo alla Federazione del Partito per sapere se avessero notizie più precise da Roma, ma le impiegate Lalla e Angela sapevano quanto noi. Pensammo ai giornali. Ma a quell’ora erano certamente ancora nella fase di acquisizione delle informazioni per la impaginazione dei quotidiani del giorno dopo. Mancavano pochi minuti alle 16. Mi ricordai che in quegli anni veniva stampato una edizione pomeridiana del quotidiano Roma che usciva con la testata di “NAPOLI NOTTE”. Ma non era mai in edicola prima delle ore 18.

Uno di noi allora prese il motorino e corse di filato sino alla sede del Roma, a quel tempo in via Marina, ospite del palazzo della Flotta Lauro. Mezz’ora in tutto e il nostro Camerata fu di ritorno con le prime copie fresche di stampa del Napoli-Notte. Ciò che vedemmo fu raccapricciante e fin troppo doloroso. Una foto scattata da un fotografo professionista o chissà da chi, ritraeva i due fratelli Mattei già arsi dalle fiamme, nel tentativo di trovare una fuga attraverso una finestra di casa Mattei. E Virgilio, il più grande dei due fratelli, che tentava di proteggere dalle fiamme il piccolo Stefano facendogli scudo con il proprio corpo. Quella foto fu scattata nel momento più drammatico. I due ragazzi non riuscirono a scavalcare la finestra e a cercare la salvezza lanciandosi nel vuoto. Come viceversa riuscirono a fare gli altri figlioli di papà Mario e la sua Signora. Le fiamme, alimentate da un quantitativo di benzina davvero incredibile fatto penetrare sotto la porta di ingresso dell’abitazione, avvolsero in pochi minuti i due fratelli e l’intero appartamento. Solo qualche ora dopo, una mano pietosa coprì i corpi carbonizzati dei due ragazzi con un lenzuolo bianco, nascondendo pietosamente il risultato della follìa omicida che aveva colpito con tanto accanimento e con inaudita ferocia.  Una barbarie aggravata dalla premeditazione e dallo studio meticoloso dell’atto terroristico finalizzato ad uccidere.

Prendemmo quella foto e la trasferimmo sulla matrice del ciclostile. Dopo un’ora eravamo pronti a distribuire migliaia di volantini per tutti i quartieri flegrei con la notizia dei tragici fatti di sangue di quella maledetta notte. La gente era allibita, fortemente scioccata da quella foto che ritraeva la fine tragica e cruenta di due giovani vite innocenti. Tutti erano fortemente turbati ed esprimevano cordoglio e solidarietà verso di noi ragazzi del MSI impegnati in questo volantinaggio. Molti altri, soprattutto donne ed anziani, ci scongiuravano di tornare a casa. Temevano una reazione anche contro di noi. E ci ammonivano sulla pericolosità di quei giorni convulsi, caratterizzati da episodi violenza gratuita e bestiale.

A sera, giusto per l’ora del telegiornale, la nostra “compagnia” militante si sciolse senza incidenti. Eravamo tutti sconvolti ma impazienti di sapere chi aveva compiuto quella missione di morte in un caseggiato popolare del quartiere capitolino di Primavalle. Chi aveva voluto colpire la famiglia di un onesto lavoratore e perché. Ma, soprattutto, cosa avevano commesso quei ragazzi e i loro genitori per meritarsi una punizione così cruenta e criminale.

Le risposte arrivarono in tempi ragionevolmente brevi. Le indagini furono immediatamente orientate verso i militanti di Potere Operaio che già qualche settimana prima del rogo avevano lasciato nell’ingresso del fabbricato dei Mattei un ciclostile di minacce al papà Mario ed a un suo amico di Primavalle con il quale condivideva la militanza nel MSI.

Il 7 Maggio 1973 la Magistratura romana era già in grado di chiudere l’indagine per la morte dei fratelli Mattei. Anche se i magistrati non arrivarono mai a ipotizzare il reato di omicidio, ma piuttosto quello di strage per Achille Lollo, Marino Clavo e Manlio Grillo tutti militanti di Potere Operaio, tutti rinviati a giudizio. Dei tre accusati, solo Achille Lollo fu arrestato, mentre Manlio Grillo e Marino Clavo si dettero per tempo alla latitanza. Il processo di primo grado si celebrò due anni dopo l’attentato (a partire dal 24 Febbraio 1975).

Nel corso del dibattimento per la quarta udienza del processo (28.2.1975), all’esterno del Tribunale in Piazzale Clodio si accese una violenta contrapposizione tra militanti dell’estrema sinistra che reclamavano il proscioglimento dei tre imputati e, dall’altra parte, militanti delle organizzazioni giovanili e universitarie del MSI, che reclamavano giustizia e tempi certi nel processo per la morte dei fratelli Mattei. I violenti incidenti che scoppiarono in pieno centro di Roma causarono, ancora e drammaticamente, la morte di un giovane anticomunista. Era uno studente greco che frequentava a Roma la facoltà di Medicina  presso l’Università “La Sapienza”. Lo studente Mikis Mantakas, appartenente al FUAN (Universitari di Destra), fu ucciso con un’arma da fuoco da estremisti di sinistra presenti alla manifestazione di solidarietà per i tre imputati di Potere Operaio. Tra questi estremisti fu individuato dalle Forze dell’Ordine l’esecutore materiale dell’omicidio di Mantekas : si trattava di Alvaro Lojacono, romano di famiglia facoltosa, che confluirà successivamente nelle Brigate Rosse, ove metterà a segno anche l’omicidio del Giudice Girolamo Tartaglione. Lojacono sconterà alcuni anni di carcere per l’omicidio del Giudice, intervallato da vari periodi di latitanza in Algeria e in Svizzera, ma non sconterà nessuna pena per l’assassinio di Mantakas perché, pare, mai rinviato a giudizio per questo reato dalla magistratura italiana.

(CONTINUA CON L’EDIZIONE DI MERCOLEDI 19 APRILE)