Chiariamo subito una cosa: l’Italia da oggi non è un Paese più giusto, ma un Paese tristemente uguale a ieri che trascina con sé tutti i suoi problemi. Regressi, pregressi e cronici.
La sola cosa che (non) è cambiata da oggi è la possibilità di aggiungere il cognome materno – che poi è del padre di lei – al nascituro. In realtà tale pratica, purché concordata tra i genitori, era già prevista dal Codice Civile e si poteva persino sceglierne l’ordine. Non averlo fatto equivale a non saperlo, evidentemente. Dunque, quale sia questa conquista sciorinata come il progresso del secolo non si sa. Però, c’è un fattore importantissimo da rilevare e da non sottovalutare, ovvero quello che in Italia esiste ancora la Corte Costituzionale! Non pare vero.
Dopo che per due anni ci siamo chiesti che fine avesse fatto, mentre il popolo veniva usurpato di ogni diritto umano fondamentale – quale quello al lavoro, quello alla salute, quello alla libera circolazione, quello alla parola, solo per ricordare quelli più “in voga” in tempo pandemico, in attesa che tutto sia compiuto con le privazioni che potrebbe comportare la guerra: il razionamento alimentare, infatti, è già una realtà in tanti supermercati dello Stivale – dopo che ci siamo chiesti se la Corte Costituzionale si fosse anche minimamente accorta dello stupro al Diritto di invenzione romana, italica, ma così, per sentito dire, ora se ne esce con questa “genialata” del doppio cognome. Che per alcuni era già tale, quindi si parte da una base di tre. Da elevare al quadrato ad ogni nascita.
In attesa di capire come funzionerà , se funzionerà , il crescete e moltiplicatevi dei cognomi nel paese della burocrazia imperante, basti pensare, ad esempio, alla mera generazione di un codice fiscale, già si pregustano le sfide della generazione delle “boldrineh” guadenti e plaudenti per questa conquista di civiltà contro il machismo secondo cui si potrà dare anche il loro cognome al nascituro, ovvero quello ereditato dal padre che è, però, un uomo. D’altronde, anche i movimenti femministi della prima ora sono stati partoriti da uomini liberatori a stelle e strisce per sdoganare il consumismo più esasperato: parità è uguale ad uguaglianza? Più uguaglianza vuol dire più divorzi, più divorzi vuol dire più auto, più auto più case, più case più spese, più spese più consumi…
Cosa si nasconde, però, dietro a questa “amata” decisione?
In primis che si è espressa la Corte Costituzionale quindi è come se avesse parlato il Padreterno.
In secundis, che la Magistratura, che nell’Italia delle separazioni dei poteri, detiene il potere giudiziario, ovvero quello di fare rispettare le leggi che il Parlamento approva, continua a sostituirsi al Parlamento – esautorato che più esautorato non si può, anche qui tra l’indifferenza generale.
Non ultimo, che questa decisione è da incardinare in quella massiccia opera inarrestabile della demolizione della famiglia. Avessero mai demolito quelle della magia, della ‘ndrangheta e della camorra! È un attacco diretto al pater familias, teso ad estirpare eventuali eredi dalla gens, dalla genìa. E nell’epoca del cancella culture, dei deliranti divieti che vedono opere russe – perché concepite da personalità russe – ma patrimonio mondiale della cultura, non sarebbe un azzardo pensare che un giorno, anche non necessariamente lontano, pure l’Iliade potrebbe essere messa al bando perché Achille viene definito “Pelide”, patronimico di Peleo, suo padre. Ancora una volta un attacco alla nostra civiltà , a Roma che deve esser distrutta al pari di una Cartagine qualunque, quella Roma faro di Civiltà che esiste dopo 3000 anni, quella Roma che è Tradizione, ovvero coniugazione del passato col presente – per dirla con Evola – e non è un caso che in questo globale disegno d’istruzione – che è distruzione la cui apostrofo non è che la prima lacrima – ad essere sott’attacco, ancora una volta, è il concetto di “paterlinearità da parte di chi vuole smontare, pezzo dopo pezzo, l’Idea di Civiltà europea basata su strutture di “lunga durata”, come già evidenziato da Domenique Venner. E poiché l’elemento comune a tutti i poemi epici europei è proprio il concetto di paterlinearità , la messa la bando potrebbe proseguire incominciando dai “classici” come l’Iliade, l’Odissea e l’Eneide. Quanto fastidio darebbe il vecchio Anchise da portare sulle spalle, oggi che gli anziani si confinano, leggi pure ce se ne disfa, nelle RSA sentendone ugualmente il peso? Oggi che si tende a non far familiarizzare nonni e nipoti, da stirpe e discendenza passati ad essere ricettacolo di virus e bombe batteriologiche? Commetteremmo peccato a pensare che il cognome “materno” è solo funzionale, una buona scusa nell’adozione da parte di genitori gay – che paradossalmente si dichiarerebbero maschi e femmine – che sceglierebbero quale cognome mettere per primo e/o non mettere il secondo? E poi la guerra per ottenere il cognome del padre, magari da parte di qualche libertaria troppo libertina, per un figlio nato fuori dal matrimonio.
Un tentativo ben orchestrato per estirpare radici e non essere più di nessuno, non appartenere più a niente e nessuno.
Decisioni che creano scene comiche e paradossali, tutte da ridere se non fosse che siamo sull’orlo di una guerra che potrebbe vederci direttamente coinvolti in casa nostra, visto che già lo siamo in casa d’altri, che siamo in piena recessione, che ci aspetta un futuro incerto, forse triste e doloroso se riuscissimo mai ad averne uno, che tra le mille priorità in calendario, si pensa a legiferare circa qualcosa di assolutamente procrastinabile e avulso dalla realtà . Come questa classe “politica”. Dove la politica è diventata pura demagogia e perenne corsa al consenso elettorale. Da declinare poi, appena messisi in cadrega. Un’occasione ottima da sfruttare per quella sinistra parte che non è differente da quella “diritta” che vuole essere costruttrice – e per una volta che siano davvero senza “c”! – di quel mondo moderno il cui assaggio c’è già bastato. Ed è stato più che amaro. Sarà un caso che il principe della risata Antonio Griffo Focas Flavio Angelo Ducas Comneno Porfirogenito Gagliardi De Curtis di Bisanzio aveva scelto di chiamarsi semplicemente Totò !