SALVAGUARDARE IL MADE IN ITALY PARTENDO DALLA TRADIZIONE DEL “CONFEZIONATO A MANO”.

 

L’Economista Gianni Lepre: “Siamo osannati nel mondo perché le cose le facciamo noi e non le macchine”

 

Spesso quando si parla di Made in Italy si confonde il marchio del Sistema Paese con le modalità di creazione dei prodotti che fanno superlativo il nostro brand. L’errore più comune è quello di pensare al ‘fatto in Italia’ solo come traduzione spicciola del ‘prodotto in Italia’, dimenticando che esiste tutto un disciplinare nelle varie filiere che garantisce quelle produzioni come effettivamente “hand made”. Ad ingarbugliare il tutto ci ha pensato anche l’innovazione tecnologica robotizzando e portando il tutto sul piano dell’industry 5.0 che con la tradizione non ha più nulla a che vedere. “Se il mondo ci cerca è perché tutti sanno che un gioiello lo crea ancora l’artigiano orafo, perché un vestito lo cuce ancora un maestro sartore, perché un’acquasantiera o un crocifisso lo crea il ceramista dall’argilla; perché una bottiglia di vino pregiato giunge ancora da un vigneto italiano doc coltivato e raccolto da contadini; perché la mozzarella di bufala viene ancora dal latte munto da mandrie di bufale dei nostri allevatori e trasformato in aziende casearie a conduzione familiare”. Esordisce così il prof. Gianni Lepre, economista e Consigliere del ministro della Cultura con delega al made in Italy, che poi sottolinea: “Qualcuno queste circostanze le ha dimenticate, ma il Made in Italy è questo. L’innovazione tecnologica, la digitalizzazione non sono opzioni produttive, ma solo un sostanzioso aiuto nella fase postproduttiva quando i prodotti vanno promossi e messi in vendita anche sui nuovi canali di commercializzazione”. Il prof. Lepre che tra l’altro è presidente della Commissione Economia della Cultura del Consiglio nazionale dei Dottori Commercialisti proprio con delega all’artigianato e ai distretti d’impresa ha poi continuato: “Il mondo ci osanna perché le cose le facciamo noi con le nostre mani e non certo le macchine, e in questo la concorrenza sleale che il mondo asiatico ci fa va proprio in questa direzione, cercando di contrastare il falso alimentare, prezioso o fashion con un disciplinare unico che garantisca il marchio tricolore senza che questo possa essere attaccato dagli hacker dell’industria e della clonazione dei prodotti”. Lepre ha poi concluso: “Salvaguardare il made in Italy e quindi di conseguenza promuoverlo significa soprattutto sottolineare la qualità e non la quantità dei prodotti; il nostro è un mercato d’eccellenza, noi badiamo alla finiture, al gusto e all’autenticità, che poi è il plusvalore del Sistema Italia”.