NAPOLI SVENDESI : 620 immobili comunali diranno addio alla citta’. (con qualche eccezione)

Erano i tempi di Mario Draghi premier. Gli era stata appena passata la campanella, quando “alcuni italiani” lo accolsero con striscioni in tutta Italia per ribadire il loro NO al “Draghi liquidatore di stato”.
Di Mariolino Draghi, nel frattempo, si sono perse le tracce, ma si riconoscono i segni del suo operato. Come non ricordare il famoso, meglio famigerato, Patto per Napoli, immediatamente ribattezzato su queste colonne (https://www.camposud.it/una-calorosa-stretta-di-mano-per-sancire-il-nuovo-pacco-per-napoli/tony-fabrizio/) “pacco per Napoli”? Ebbene, quel patto scellerato inizia ad avere esecuzione.
È notizia recente, infatti, che il Comune di Napoli ha messo in vendita ben 620 immobili per salvare sé stesso dalla scriteriata gestione dei sindaci che si sono succeduti. La notizia è più che ufficiale e riportata anche sul sito istituzionale con riferimento alla Delibera di Consiglio n° 66/2017 in cui si fa riferimento alla “preziosa collaborazione del Consiglio Notarile dei Distretti Riuniti di Napoli, Torre Annunziata e Nola e della Borsa Immobiliare di Napoli (BIN)” con cui si avvia una messa all’asta di una parte consistente del patrimonio immobiliare comunale. Ricordate il primo cittadino Gaetano Manfredi, che al Patto per Napoli aveva vincolato la sua salita a Palazzo San Giacomo, quando andava dicendo “Valorizzare il patrimonio immobiliare per metterlo a reddito”? Politichese. Tradotto significa soltanto cederlo. O per meglio dire, svenderlo.
Significa che Napoli e i napoletani saranno privati – leggi impoveriti – di veri e propri gioielli storici e architettonici quali la Galleria Principe di Napoli, Palazzo Cavalcanti, il complesso del Carminiello a sant’Eligio, l’ex Deposito ANM di Posillipo, le caserme della Polizia di Stato in via Medina e quella della Guardia di Finanza in via Quaranta, l’ex Villa Cava a Marechiaro.
Queste non sono tutte le proprietà di cui il Comune si disferà, ma solo quelle di cui si disferà nell’anno in corso. A queste vanno aggiunte altre strutture come lo Stadio Diego Armando Maradona – ex San Paolo – e altri impianti sportivi come il Palazzo del Consiglio Comunale di via Verdi. Non fanno eccezione le partecipate come l’ANM, Asia, Napoli Servizi ed altre aziende controllate dal Comune che, dopo il turn over, potranno valere molto di più rispetto all’attuale valore. O almeno così dovrebbe essere.
Eppure, qualche ex collega di Gaetano Manfredi, come il prof. Alberto Lucarelli, docente di Diritto Costituzionale nell’Ateneo guidato proprio da Manfredi, uno dei giuristi italiani più noti, che può vantare anche una breve parentesi da assessore nella giunta de Magistris, aveva lanciato un campanello d’allarme paragonando il Patto agli “aiuti” che la Commissione Europea aveva messo in campo per la Grecia di Tsipras, quella Grecia in cui si negò persino il latte ai bambini.
E, tra le cose gravi, questa non è certo la più grave: pur di salvare sé stesso, il Comune di Napoli ha accettato una svendita senza alcuna condizione. Un po’ come la resa incondizionata dell’Italia nella II Guerra Mondiale, fatta passare per armistizio, impastata con la liberazione, firmata a Cassibile le cui clausole ancora oggi, quasi cent’anni dopo, continuano ad essere segrete. Anzi, secretate. Così nel Patto per Napoli – dove quella semplice preposizione avrebbe dovuto sancire quantomeno un complimento di vantaggio – sarà lo Stato italiano, per mezzo di una Società per Azioni – la Imvit, – non solo ad occuparsi della liquidazione dei beni immobili del Comune, ma addirittura a dettarne le condizioni. Che saranno pari a zero o che rasenteranno tale livello, visto che l’obiettivo è vendere per fare cassa. Per Imvit, per Napoli e per lo Stato. Come ricorda(va) ancora – e inutilmente a quanto pare – il prof. Lucarelli “I soldi erano quelli della legge finanziaria del 2022 ma legati ad un contratto di diritto privato dove il contraente – lo Stato, ha dettato tutte le condizioni al Comune di Napoli. Altro che valorizzazione del patrimonio pubblico cittadino: qui si tratta di alienazione, di vendita, di svendita. E non faranno eccezione castelli, monumenti, edifici di interesse storico che potranno andare in mano di privati che potrebbero anche decidere di non far godere di storia, cultura e bellezza il pubblico.
Se questa è la “legge”, però, subito è stato trovato l’inganno, perché un’eccezione c’è ed è rappresentata dall’ex Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Materdei, oggi centro sociale occupato dalla sinistra che ha pensato di stabilirci la sede del partito Potere al popolo.
Il palazzo occupato non rientrerà nella compra-(s)vendita di stato perché per i piccoli rivoluzionari rossi si sono mossi i paparini che hanno fatto inserire lo stabile negli immobili da “riqualificare” con i soldi del Pnrr, ovvero con i soldi di tutti che potevano essere utilizzati per l’intera comunità napoletana.
Non resta che aspettare giugno 2023, dunque, quando la Corte dei conti di concerto con il MEF (chissà se avere lì Gigino sarebbe stato “interessante”) avvierà gli accertamenti per la liquidazione e per il commissariamento di gioielli quali il Maschio Angioino e Castel dell’Ovo e sperare nell’inflessibilità da parte del governo Meloni affinché possa tutelare in qualche modo (ma quale?) il fu patrimonio pubblico. Perché vedere il Comune e i suoi okkupanti ridotti, nella migliore delle ipotesi, ad un ruolo di semplici supervisori non rappresenta certo una soddisfazione nemmeno per quelli che – giustamente – non hanno mai avuto fiducia in loro.