MORTO TROISI, VIVA TROISI !

La settimana che sta per concludersi  porterà via con sé anche le celebrazioni per il 70esimo compleanno di Massimo Troisi. E con essa, almeno per un poco, anche quella grandiloquenza che vuole il Paradiso più sorridente e con un angelo in più a fare compagnia a quegli altri angeli che, prima di allora, erano tristi e poco sorridenti.
Un lungo tappeto rosso steso dal salotto buono della città sino alla periferia, da Chiaja sino a San Giorgio a Cremano, su cui hanno sfilato tutti, tranne lui. Ecco perché non stupisce nemmeno la trovata del compleanno postumo in tempi in cui persino il Natale si festeggia senza il “Nato”.
Celebrazioni piene di vuota retorica iniziate dalla deposizione di una corona di fiori al cimitero di San Giorgio a Cremano, “il paese di Troisi” come l’ha definito il Sindaco; in realtà già paese di un altro immenso comico quale Alighiero Noschese che tutti, Primo Cittadino per primo, hanno dimenticato di ricordare o, se vogliamo, tutti hanno ricordato di dimenticare.
Un genetliaco vissuto come un lungo struscio di stelle oramai (de)cadenti e di cariatidi rianimate per l’occasione che, indossati gli occhiali d’ordinanza da intellettuali, hanno affollato l’Università Federico II che ha conferito a Troisi Massimo la laurea honoris causa e post mortem – ritirata dalla sorella Rosaria – in Discipline della Musica e dello Spettacolo. Riconoscimento mai così meritato, ma ottenuto solo previa sollecitazione dell’amico di sempre, Enzo Decaro. Che ci ha pensato perché doveroso ma anche perché nessuno ci aveva pensato prima.
Prima degli elogi e prima della declamazione delle qualità postume. Segue, come da protocollo, buffet nel Caffè per eccellenza della città del caffè per antonomasia e che per l’occasione ha preparato un dolce speciale da offrire agli astanti. Alla stregua di quanto era già stato proposto (evviva l’originalità!) per il compianto Pino Daniele, quando fu inventato “il Pinuccio”: base di sfogliatella riccia, con cioccolato bianco, panna, ricotta, pan di spagna e una copertura di cioccolato scuro, un dolce definito anche, “Nero a metà”.
Io già me lo immagino il nostro Pulcinella senza maschera scompisciarsi dalle risate e rinunciare al caffè non perché lo rende nervoso.
Ma solo perché “tengo ancora ‘no poco ‘e Pino Daniele ‘mmiez’ ‘e diente!” o perché “m’è rimasto il Troisi di prima ‘ngopp’ ‘o stommaco”. Fa da contorno l’immancabile cicalìo di ben altre maschere in servizio permanente effettivo che tessono le lodi, tante che al loro cospetto Penelope era una principiante precaria. Quelle stesse maschere che, detto da chi c’era e c’è sempre stato – come Lello Arena – sono le stesse che a Troisi per tante volte tante porte in faccia hanno sbattuto: “Ma chi è ‘sto Troisi?”, “Non si capisce niente quando parla”, “ma dove volete andare?”. Per dirla con Troisi stesso “Perché siete tutti così sinceri con me?! Cosa vi ho fatto di male io?! Chi vi ha chiesto niente? Queste non sono cose che si dicono in faccia. Queste sono cose che vanno dette alle spalle dell’interessato. Sono sempre state dette alle spalle”. Appunto. Necrologi di auguri di compleanno buoni-buonissimi per forza, voce del verbo “scurdammoce ‘o passato”.
Totò avrebbe detto “simm serie, appartenimmo a morte”. Ma Troisi non era un comico “ricercato” come Totò, era più un Peppino di quei De Filippo che Massimo non conobbe mai. Massimo non era che sé stesso, non era per gli addetti ai lavori nulla di eccezionale, semplicemente perché era normale troppo normale, umano. Come tutti. Come noi. Ecco perché Troisi non era nessuno (per loro) pur essendo già Qualcuno. Al punto che solo a pochi aveva confidato la sua patologia congenita. Riservato. Non pubblico, ma di pubblico. Ma non quel pubblico che si è reso protagonista di quella smargiassata più finta di don Pasquale e don Salvatore, i due cinesi napoletani che da Little Italy fece approdare in trasmissione da Pippo Baudo. Tutto è buono perché adesso che Troisi è morto evviva Troisi e loro con lui. Grazie a lui. Ancora.
Il suo funerale lo aveva già previsto, ma non avrebbe potuto immaginare che ci sarebbe stato ancora un compleanno senza lui, quando i compleanni ormai non si festeggiano più, né poteva sapere che lo avrebbero richiamato in vita, per forza, ancora, in una sorta di accanimento terapeutico all’inverso in questo mondo di gente al contrario, che festeggia chi non compie gli anni anche dopo, fuori tempo… massimo. Eppure lo aveva detto, anzi, nel suo stile inconfondibile lo aveva fatto dire: «Massimo mi piaceva molto più da vivo. Adesso… uhmmmm».