LA PACIFICA MANNINO DALL’ARISTON DICHIARA, CON AMORE, GUERRA ALL’UOMO BIANCO.

Sanremo è il festival della canzone italiana nella misura in cui la destra di governo, a detta della sinistra, ha occupato la tivvù di stato di viale Marconi. Inutile ogni riflessione su potenziali vincitori, su eventuali polemiche ricamate ad arte o singolari trovate atte a creare finti clamori più inutili delle proteste dei giornalisti che chiedono (a chi li paga, ma con i soldi altrui) più libertà e più scontatezza del monologo – che avrebbe dovuto far ridere e riflettere – della comica Teresa Mannino. Ma poiché dal palco dell’Ariston (omen non omen) qualcuno difendeva la categoria dei comici perché sono una sorta di salvagente della democrazia – che, ancora, continua ad essere inspiegabilmente la panacea al pari della riflessione moralistica di una che deve fare ridere – noi di questo parleremo.
Ebbene no, il monologo umor-satirico-moralisticheggiante della comica siciliana non è riuscita a farmi venire i complessi di inferiorità per essere uomo bianco, eterosessuale, amante dell’altra metà del cielo e del buon cibo, guidatore di un’auto diesel, magari sposato e con prole. Che, poi, a me non risulta che lei sia non-bianca, non etero, non accoppiata, anzi, per lei si configura persino l’aggravante della recidiva, ed essendo poliamorosa – nel senso di aver amato più uomini e avere messo al mondo una sola figlia – pare proprio che gli uomini con cui si sia accompagnata non abbiano assolto la sola funzione di portatori di spermatozoi e inseminatori-raptus, così come da lei paventato. Anzi, visto che il suo per nulla originale monologo che bene si incornicia nello steccato woke attualmente imperante e a cui tutto lo showbiz è prono, infarcito fino al vomito di politically correct, è persino offensivo nei confronti del mondo maschile. Dico questo non perché sono minimamente offeso dal contenuto del pezzo oralmente defecato, ma per chiedere alla Mannino se fosse successo a parti inverse, che un uomo avesse considerato la donna come un contenitore di testosterone per poi trasformarla in incubatrice, cosa sarebbe successo. Di cosa staremmo parlando oggi. Cosa avrebbero scritto i giornalisti scioperanti sotto al cavallo ferito che emette l’ultimo nitrito.
E non basta, poi, in conferenza stampa ergersi a maestrina per guadagnare il riscatto dicendo cose scontatissime che le fanno accaparrarsi addirittura la corazza di eroina e tributarle il coraggio di Aver detto pubblicamente che “l’Italia è una colonia americana. Dobbiamo stare zitti e come siamo stati zitti su tutto il resto”. Attenzione: non ha detto che non ce la fa più ad essere colonia, che non vuole più esserlo, ragion per cui, il panegirico anche su di lei, anche no, grazie. Probabilmente dimentica, la Mannino, che se siamo colonia è perché a stare zitti sono stati per primi i suoi compaesani che oggi, da Milano, deride per come (non) parlano. Esistono movimenti politici che hanno fatto della sovranità la loro bandiera ideologica, ma sono visti come la peste bubbonica quando scendono in strada a difendere anche quelli come la Mannino che, dopo 80 anni, pensano di aver scoperto l’acqua calda e lo dicono pure!
Sono uomini bianchi, etero e portatori di spermatozoi: se fossero morti, come ci si augura nel monologo dall’artista, allora sì che ci sarebbe bisogno della Mannino che probabilmente, senza gente come questa, non avrebbe nemmeno potuto parlare. Pure non essendo ancora morta, come da desiderio della comica che stavolta non fa per nulla ridere, questa gente fa una gran fatica perché, forse la Mannino, non si muove con bus, tram, metro, non frequenta stazioni e normali vie cittadine, ma in strada ci sono “nuovi europei”, “nuovi italiani” che trattano le donne proprio come descritto dalla novella sacerdotessa dal palco del prestigioso teatro ligure. Quello dove un altro conterraneo della Mannino, Rosario Fiorello, si prende gioco dei poveri che non possono nemmeno vedere le donne impellicciate entrare a teatro da balconi che costano quanto uno stipendio mensile di un normale italiano. Chissà cosa pensano tutti e due – va bene anche un solo pensiero, unico, partorito dal comune sforzo dei neuroni uniti – dei fatti di Catania, dove una ragazza di 13 anni è stata stuprata, percossa e abbandonata in un parco cittadino e il suo fidanzatino costretto ad assistere. Sipario! Nemmeno il buonismo un tanto al kilo dell’ex animatore di villaggio turistico ha pagato, lui che difende la Salis “perché non ha fatto nulla”. Il capolavoro della maestrina si trova in rete al pari del teatrino di John Travolta. Sipario pure qui!
Il risultato è uno spreco di denaro pubblico, compreso quello proveniente dall’uomo bianco, ricco, occidentale, che ridicolizza la comica che non concretizza che un accumulo di parole vuote, scontate e inutili. Che finisce per fare un elogio – senza che lei e né chi le scrive i testi lo capiscano – alla misandria, non abbandonando la maschera delle vittime, pur essendo carnefici. Un autogol che certifica un fallimento di certe ideologie che ancora si continuano inspiegabilmente a calvare pur di rimanere sulla cresta dell’onda. Come quanto successo con il quasi cognato di un’altra ospite creata, la sorella di Giulia Cecchettin. Quasi non avesse un nome proprio. E quel Filippo Turetta che oggi tutti denigrano che non è altro che il prodotto creato d queste loro bislacche teorie.
Una furbata mal riuscita che, al netto della metafora, offre uno spettacolo che non fa ridere e un pezzo di cui non si sentiva certo la necessità. Su cosa dovremmo riflettere, se non sul grado di tristezza di certa gente prezzolata che può avere un prezzo, ma che non ha alcun valore?