Nei giorni tragici a cavallo tra la firma dell’Armistizio dell’Italia con gli Alleati, in quel tragico 8 Settembre 1943 e sino al 1947, a guerra ormai finita, con la firma dei trattati di Parigi che sancirono l’assegnazione alla ex Iugoslavia di territori italianissimi (dall’Istria con la città di Pola, al Carnaro con la città di Fiume; dalla città di Zara con la sua provincia e parte del Venezia Giulia, al vasto territorio della Dalmazia con la città di Spalato), per centinaia di migliaia di cittadini Italiani residenti in quelle terre del confine orientale del nostro Paese, si consumò il più drammatico e cruento tentativo di cancellazione di un popolo, nonostante la cessazione delle attività belliche, attraverso il massacro premeditato e criminale di uomini, donne e bambini colpevoli esclusivamente d’essere italiani. La cosiddetta ed esecrabile “pulizia etnica” voluta e portata a termine dai partigiani comunisti di Tito che, per oltre 4 anni, imperversarono con atteggiamento barbarico e criminale sulla popolazione italiana, senza interruzione e senza alcun intervento delle forze di occupazione alleate che ne mitigassero gli effetti drammatici e le atrocità perpetrate dai partigiani Titini. Tutto questo, come si é detto, a guerra ormai finita e con una coda tragica di brutalità inenarrabile che fu interrotta soltanto con la firma del trattato di Parigi del 10 Febbraio 47 tra lo Stato Italiano e le nazioni vincitrici del secondo conflitto mondiale.
Ma cosa accadde in quegli anni funesti? Come iniziò questo incubo atroce? E come fu compiuta la “pulizia etnica” degli italiani?
A partire proprio dai giorni immediatamente successivi alla firma dell’Armistizio dell’8 Settembre del 43 i partigiani di Tito lasciarono le montagne e i luoghi ove erano acquartierati e invasero progressivamente le città , i borghi, le campagne di quei territori. Cercavano esclusivamente i cittadini italiani. E iniziarono a prelevarli nottetempo dalle loro abitazioni. Venivano caricati su autoveicoli di fortuna e portati in caserme o altri luoghi requisiti o occupati per le loro necessità omicide. Donne, uomini, bambini e anziani rimanevano in questi luoghi fin tanto che non fossero stati in numero sufficiente per dar corso al loro macabro obiettivo di morte. Quando il numero degli arrestati superava il centinaio, venivano nuovamente caricati sugli autocarri e traferiti tra i boschi e le montagne carsiche disseminate di cavità molto profonde con accessi angusti e mimetizzate dalla vegetazione. Si trattava delle tristemente famose “Foibe” che avevano una profondità di centinaia di metri e anche più. Gli sventurati venivano allineati avanti a queste cavità inaccessibili, legati con fil di ferro o filo spinato l’uno all’altro con le mani o le braccia e poi veniva vigliaccamente colpito con arma da fuoco alla nuca il primo della fila che, cadendo esanime sulla imboccatura della foiba trascinava con se, nel fondo della cavità , tutti gli altri prigionieri. I corpi ancora in vita sprofondavano progressivamente e velocemente tra grida di dolore strazianti. Grida che spesso si udivano ancora per diverse ore provenire da quelle cavità , fino a spegnersi. Queste scene si ripetettero ogni giorno per vari anni e quel che é certo che un numero anche approssimativo di vittime delle foibe é assolutamente impossibile definirlo. Si parla di 5000 o qualcosa in meno. Altri storici parlano invece di numeri molto superiori in ragione del fatto che nelle foibe non finirono solo civili, ma anche moltissimi militari in servizio in quelle città e nei territori circostanti. E poi vigili del fuoco, finanzieri, Carabinieri, sacerdoti, autorità civili e amministrative. Una più attenta valutazione delle vittime potrebbe essere effettuato valutando anche il gran numero di dispersi tra civili e militari. Un numero altrettanto indeterminato e impressionante.
Quel che appare tuttavia incontrovertibile é la motivazione di tanta efferatezza: lo sradicamento di un’intera popolazione dal suo territorio di origine per sostituirla con con un’altra popolazione che su quel lembo di terra non aveva nessun diritto. E così città italianissime fondate nei secoli dai Romani o più tardi dalla Repubblica di Venezia, divennero città iugoslave, nonostante l’eroica difesa dal terrore e dall’odio razziale titino che fu affidata ai combattenti della X mas MAS del Comandante Junio Valerio Borghese dopo l’armistizio. Mentre gli italiani sopravvissuti chissà come allo sterminio, con mezzi improvvisati, radunarono i loro pochi effetti personali stipati nelle valigie di cartone per rifugiarsi in una Patria nella quale profondamente credevano e che, tuttavia, non li accolse come sarebbe stato giusto e sacrosanto. Anzi si puo’ certamente affermare che l’Italia riservò a questi cittadini lunghi periodi di ulteriori mortificazioni e sofferenze, stipandoli quasi sempre in ex campi di concentramento per prigionieri di guerra o baracche di fortuna disseminate in tante città italiane dal nord a sud del Paese. Tra condizioni disumane di sopravvivenza e disinteresse assoluto delle Autorità e degli stessi cittadini che li consideravano profughi e pertanto da tenere a distanza. Questi nostri sfortunati connazionali in quegli anni bui del dopoguerra, si trovarono vicini solo il Movimento Sociale Italiano che in tutta la Nazione dette vita presso i campi profughi che li ospitavano, ad innumerevoli e ricorrenti iniziative di sostegno e di solidarietà .
Quella ferita brucia ancora ed é sangue che continua a sgorgare senza fermarsi.
La cosiddetta “Destra di Governo” ha fatto ben poco di identitario per essere apprezzata e ricordata, ma bisogna riconoscere che la istituzione della “Giornata del Ricordo” é stata sicuramente un ‘azione nobile che va ascritta a suo incondizionato merito. Una Giornata che celebriamo con commozione e con impegno, in onore di tutti i caduti di quei massacri ignobili e brutali commessi dai partigiani di Tito e per troppi anni volutamente nascosti, se non negati, da una politica nostrana imbelle e miserabile, complice e subalterna.