martedì, Dicembre 3, 2024
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IL DRAMMA AFGHANO RIPROPONE PREPOTENTEMENTE I TEMI DELL’INTEGRAZIONE E DELLA CONVIVENZA TRA I POPOLI.

Le democrazie plutocratiche hanno voluto imporre la civiltà occidentale a popoli che non la capiscono e non la vogliono, contrabbandando sotto la nobile etichetta della civiltà occidentale, la vendita dei prodotti delle loro multinazionali. Non ci interessa cadere nel gioco americano della polemica Trump-Biden, funzionale ai gruppi di potere e lobbisti degli Usa. Oggi paghiamo il conto di una politica internazionale soggetta ad interessi stranieri.
E ci siamo sottoposti a questi interessi nella falsa prospettiva di una politica internazionale volta a difendere i principi di libertà e di democrazia, senza considerare gli interessi sottostanti.
La libertà è anche consentire, in termini di reciprocità, che ognuno abbia i propri modelli di vita, la propria religione, i propri codici.
In termini di reciprocità si intende che, se due stati hanno normative differenti, le differenze di usi e di culti sono tollerate se entrambi gli stati le tollerano. Quindi, e ad esempio, negli stati cattolici possono essere tollerate le moschee se negli stati islamici sono tollerate le chiese. O in occidente possono essere tollerati i burja se nell’Islam si tollera che le donne occidentali vestano all’occidentale.
È evidente che essere “multietnici”, mentre altri paesi risultano, piuttosto, strenui difensori della propria cultura, pone in particolare i paesi occidentali in una situazione di inferiorità. Ciò perché, mentre noi li dobbiamo ospitare, istruire, inserire nel nostro contesto sociale ed economico, loro nei loro quartieri europei rimangono fermi nei propri modelli di vita, nella propria cultura di origine. Così che e a maggior ragione, nei loro paesi la nostra cultura, usi e costumi non entrano affatto. Per questo non vale l’argomentazione per la quale, vivendo in occidente e conoscendo da vicino i nostri modelli di vita, possano  amalgamarsi  ed integrarsi compiutamente con i modelli sociali e stili di vita occidentali.
Quando l’Italia svolgeva una sua politica estera non asservita a interessi stranieri, riuscì a svolgere una febbrile attività diplomatica  volta alla amicizia e alla collaborazione con i paesi islamici ed il suo Capo di Governo ricevette dagli stati islamici la “Spada dell’Islam” quale riconoscimento della politica italiana a difesa del mondo islamista.
La crisi dell’Afghanistan, pertanto, serva a far recuperare agli stati europei, anche nel ruolo proprio dell’Europa unita (non l’Europa misuratrice delle vongole, ma l’Europa nazione proiettata nel mondo per svolgere il suo ruolo storico), una politica estera autonoma e legata piuttosto agli interessi nazionali ed europei.
In tal senso alcune considerazioni finali.
In primo luogo non provo pietismo per questi profughi che non hanno neppure tentato di difendere se stessi, le loro mogli, i loro figli e sono fuggiti, o tentano di fuggire, lasciando donne, bambini e anziani in balia dei talebani (tutti i video mostrano solo giovani uomini in fuga).
In secondo luogo non trovo giusto che gli Usa procurino i guai e poi i problemi dei rifugiati debbano ricadere sull’Europa.
E se il problema dei profughi deve ricadere sull’Europa intera è giusto che il dramma di questi profughi sia di tutta l’Europa. Non sarà certamente possibile per l’Italia, in ragione della sua particolare posizione geografica, farsi carico anche dei possibili flussi di disperati provenienti dall’Afghanistan.  Mentre ancora rimane irrisolto il problema antico dei profughi africani o asiatici provenienti dai porti della Libia e della Tunisia e che approdano esclusivamente in Italia. Problema mai affrontato e men che meno risolto dall’U.E. Neanche in situazioni di estrema emergenza per l’Italia ove questa drammaticità, anche di natura sanitaria in questi ultimi anni, é divenuta tragica  quotidianità per il nostro Paese. Sicilia e Mezzogiorno in particolare.
Nelle crisi emergono i problemi; gli stati forti ne escono risolvendoli, quelli deboli subiscono le decisioni altrui.
Non è difficile immaginare che subiremo ancora a lungo le decisioni altrui.

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