DOPO 10 ANNI FINISCE L’EPOPEA DEI NOSTRI FUCILIERI DI MARINA : Girone e Latorre non colpevoli!!

Foto Roberto Monaldo / LaPresse 22-12-2012 Roma Cronaca Aeroporto di Ciampino - Rientro in Italia per le festività natalizie dei due marò detenuti in India Salvatore Girone e Massimiliano Latorre Nella foto Salvatore Girone, Massimiliano Latorre Photo Roberto Monaldo / LaPresse 22-12-2012 Rome (Italy) Ciampino airport - Return to Italy for the Christmas holidays of the two soldiers detained in India Salvatore Girone and Massimiliano Latorre In the photo Salvatore Girone, Massimiliano Latorre

 

Ci sono voluti dieci anni. Dieci anni per voltare pagina, una pagina che non si è mai nemmeno letta.
Finisce così la vicenda dei due marò – che ad onor del vero non sono nemmeno tali: Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, i due fucilieri di Marina, dei professionisti del reparto di élite della nostra Marina Militare e non dei “semplici” marinai come sono appunto definiti tutti gli appartenenti al Battaglione San Marco – accusati di aver ucciso due pescatori al largo dell’Oceano Indiano.
Finisce a tarallucci e vino, degno finale all’italiana di quell’enorme carrozzone di saltimbanchi e pannacciai che è diventata questa Italia del politically correct, dell’all inclusive e dell’united & uniformed.
L’accusa di omicidio volontario nei confronti dei due nostri militari è stata definitivamente archiviata da parte del giudice per le indagini preliminari di Roma su richiesta della stessa procura. Non ci sono elementi sufficienti nemmeno per instaurare un processo, nemmeno dopo i rilievi su una macchina fotografica e su un computer ritrovati a bordo della Enrica Lexie, la nave a cui lo stato italiano aveva affittato i due fucilieri per garantire sicurezza. Nulla si può ricavare nemmeno dall’esame autoptico sui corpi dei due pescatori, visto che sono stati cremati.
Due, però, restano i punti cardini che nessuno è mai riuscito a smontare in questa odissea in alto mare: le regole di ingaggio che sono state rispettate, ovvero i due colpi in aria di avvertimento sparati dalla petroliera, e questo lo sappiamo per stessa ammissione dei pescatori superstiti sul peschereccio indiano che, tornando da una battuta di pesca durata l’intera notte, dormivano tutti, e l’incompatibilità dei proiettili trovati nello scafo da pesca con le armi in uso ai due fucilieri.
A queste conclusioni ci erano arrivate anche alcune personalità italiane, pochissime in verità, che hanno potuto accedere agli atti – ma solo a quelli che si possono consultare – insufficienti, però, per far smuovere la macchina burocratica istituzionale. Tre governi avvicendatisi, quattro/cinque ministri succedutisi, ma nessuno che abbia davvero preso in considerazione il lavoro meticoloso che altri Italiani avevano fatto per loro e quello di quei giornalisti che ormai, sempre più spesso, dettano l’agenda politica e quella delle dichiarazioni dei politici di turno. Con buona pace della finzione istituzionale, dei rampanti cronisti sfrontati e dei professionisti della carta stampata (dagli altri) del giornalismo d’inchiesta.
Ai governanti – perché questo è il termine giusto – è bastato giocare a fare gli Indiani più degli stessi Indiani. Hanno accettato passivamente qualsiasi decisione del governo keralita, compresi i tempi biblici in cui non sono riusciti nemmeno a mettere in piedi un processo (in)credibile; compresa l’umiliazione della riconsegna del corpo militare, dopo che loro, da bravi Indiani, avevano acconsentito affinché tornasse in Italia per trascorrere il periodo festivo; compreso il risarcimento da parte del governo nostrano alle famiglie delle vittime, il che equivale ad ammettere una colpa da parte dei nostri due militari.
Una pena, una condanna senza nemmeno celebrare il processo.
Anche l’immancabile Europa c’ha messo del suo e col tribunale arbitrale dell’Aja ci si era accordati (di favore? Per chi?) che si sarebbe arrivati alla chiusura del processo, a patto che l’Italia avrebbe continuato ad indagare per omicidio volontario Latorre e Girone. Quell’Italia che aveva affittato i due professionisti a scopo di lucro equiparandoli a meri mercenari e che non ha disdegnato l’accusa al proprio corpo militare; quei governi che non sono stati capaci di andare in India e imbandire una soluzione che salvaguardasse faccia e uomini; quel corpo diplomatico incapace di intessere pubbliche relazioni, ma insuperabile nell’obbedire e dire solamente, sommessamente “Sì”; quella Nazione non più tale, capace di pretendere una Verità che sia una, una Giustizia che sia il vero. Di prendersi ciò che è suo.
Dieci anni di attese, di false speranze, di illusioni e di demagogia cui questa politica riparatoria del meno peggio ci ha tristemente abituati. Dieci anni di umiliazioni da parte dell’India che, con il dovuto rispetto e ogni riguardo, rimane sempre l’India rispetto all’Italia. Forse, a quell’Italia che non è più. Dieci anni in cui abbiamo visto il governo italiano pagare all’India le spese per detenzione, abbiamo visto due professionisti con le stellette fare il bucato nel retro dell’ambasciata divenuta loro prigione e Massimiliano Latorre colpito da infarto, provocato da stress e arrabbiature, che nessuno in Patria ha osato definire quale malattia professionale. Con tanto di colpevoli. Quella Patria che loro hanno giurato di difendere e che non è stata, per incapacità o non volontà, padrona di giudicare due dei suoi uomini, ma che è responsabile delle badilate di clandestini che vengono scaricate sulle nostre coste a mo’ di merce umana. Un giuramento per la propria Patria che va persino oltre il personale, come può essere la promessa di unione per una moglie: Latorre ha alle spalle un divorzio e una seconda moglie, ma la Patria è rimasta una sola. Quella Patria difesa e onorata col silenzio e la dignità anche quando c’erano tutte le condizioni per lamentarsi di altri (loro) rappresentanti, ben diversi da loro e molto meno degni della stessa Patria. Dopo dieci anni vengono a dirci che i marò sono innocenti. No, i togati d’Italia hanno solo detto che questi elementi non sono sufficienti per considerarli colpevoli o innocenti. Per giudicarli. E, forse, è meglio. Resta il fatto che l’Italia, quella istituzionale, non s’è fidata dei suoi uomini che si sono fidati dell’Italia. Anche di quella istituzionale. Ad una certa Italia non servivano dieci anni, innumerevoli umiliazioni e dei giudici che emettessero una sentenza che non si può non emettere.
La terribile minaccia di essere giudicati assassini per i due marò è stata cancellata, l’accusa è stata archiviata, alle famiglie dei pescatori basterà l’ingente somma corrisposta senza mai dire loro chi ha ammazzato i propri cari. La sentenza è data, l’udienza è tolta. Si tiri pure un sospiro di sollievo, si gioisca pure, se ci si riesce. La sola cosa che è stata archiviata, però, è la verità.