Ci vogliono “rubare” anche il Natale………..

“Anche questo Natale si è presentato come comanda Iddio!”. Anzi, no! “Quest’anno sarà un Natale diverso” hanno sentenziato quelli che andrà-tutto-bene e uniti-ce-la-faremo.
Niente albero e presepe addobbato, come da tradizione, il giorno dell’Immacolata Concezione perché quest’anno il periodo di Natale sarà anticipato, persino contingentato, e annunciato (altro che Arcangelo Gabriele!) il giorno – o forse la notte – del 4 dicembre dal ventesimo/ventunesimo dippiciemme di colui che è sceso dal 5 stelle.
Piccola raccomandazione istituzionale: in strada, come nelle case, nessun assembramento: sobrietà e distanziamento che è l’esatto contrario dello spirito natalizio che è sinonimo di calore, di unione, di famiglia. Che è casa, confine valicato da chi i confini non è abituato minimamente a considerarli.
Degli zampognari nemmeno l’ombra in nessuna città d’Italia, ormai uniformemente colorate di “giallo” che è il nuovo ammonimento alla socializzazione. Al loro posto, però, rumorosissimo e silenziato è il grido d’allarme di commercianti, ristoratori e lavoratori in genere a cui il nuovo diktat governativo ha chiuso le serrande e spalancato le bocche.
Questa l’aria che si respira (si fa per dire!) dalla grande metropoli al piccolo borgo e che fa di Napoli in particolare una città spettrale, irriconoscibile, derubata della propria anima.
All’interno degli storici Decumani, le vene del cuore del centro storico, sorge San Gregorio Armeno, rinomata nel mondo come la stradina dei presepi, la vetrina natalizia più famosa al mondo e che fa di Napoli l’eterna città del Natale. Qui, trecentosessantacinque giorni all’anno, si ripete una magia unica: solo qui il sacro si mescola al profano, la contemporaneità abbraccia il passato, la tradizione si fonde con l’innovazione: è così che, dall’arte delle nuove generazioni tramandata dai loro padri e a loro volta intrapresa dai loro nonni, i mastri presepari danno vita alle loro creazioni, tutte rigorosamente ed orgogliosamente MADE IN CAMPANIA: argilla di Amalfi, stoffe di San Leucio, legno delle terre partenopee, pietra del Vesuvio diventano creazioni uniche che spaziano dal sempiterno Benino – forse il vero ideatore del presepio napoletano – fino ai personaggi dell’anno particolarmente distintisi in ogni campo, del bene e del male.
Nonostante le regole dell’autentico presepe siano rigide e rigorose, dalla collocazione dei personaggi alla loro “trina” dimensione, non è difficile vedere all’interno della stessa rappresentazione i Magi accanto ad un De Crescenzo, lo​ sciò sciò​ affiancato al Papa, anonimi pastori in processione uniti a personaggi dello spettacolo e calciatori. Non così differente dalla “processione” assortita di “presepisti e alberisti” che affolla la stradina di Spaccanapoli come un rito, una tradizione, un appuntamento improcrastinabile.
Almeno fino allo scorso anno.
I divieti di assembramento a causa del Covid, infatti, hanno colpito al cuore queste botteghe, dapprima vietando il passeggio alle persone e poi costringendo alla chiusura i laboratori in quanto “attività non essenziali”. Come se il loro pane non potesse essere questo. Vieppiù, i cervellotici censori non hanno elargito un ristoro e nemmeno un correttivo per queste persone che sono artisti a tutti gli effetti, ma che non rientrano nemmeno nel codice ATECO degli artigiani.
Gli unici “visitatori” – come i Magi – vengono dall’Oriente – ma non come i Magi – e sono gli imprenditori cinesi interessati a rilevare le attività chiuse e che, molto probabilmente, non riapriranno più, ovvero coloro che commettono il sacrilegio di dare un prezzo a tutto, ma che dimostrano di conoscere il valore di niente. Come se la tradizione, il sacrificio, gli insegnamenti, la vita potessero avere un prezzo congruo e la difficoltà (creata ad arte) potesse valere ancora meno e diventare così occasione. Come se il Natale che si ripete tutti gli anni potesse per una volta essere saltato. Come se un Cristo che non è risorto per un anno fosse quel Bambinello che può anche non nascere per una volta.
Il tutto ridotto alla stregua di un ciclico e vuoto rituale e che, invece, è tradizione, è identità che è il vero obiettivo di questa guerra. Un reset che parta dal passato e dalla memoria, che lo recida per farci cittadini nuovi, senza radici e senza legami e, magari, anche senza fiori e senza frutti, senza figli.
Il Natale da trascorrere in “unità” – dicono loro – in massimo di sei – guarda caso – praticamente da soli, magari festeggiato – per stavolta – prematuramente perché anche Cristo deve adeguarsi ai decreti di Conte e al coprifuoco virale – coprifuoco o copricristo? – e che presto, anche grazie al religioso silenzio-assenso, persino in tempi di distanziamento (a)sociale potrebbe lasciare il posto alla festa dell’incontro (voce del verbo accogliere: per enciclica siamo fratelli tutti, ricordate?) eccetto consanguinei (Aborro! Trasecolo! Disdegno!) e nipoti che debbono sempre più stare lontani dai nonni, dai loro simili, dal prossimo.
Mica come Cristo predicava!
Quest’anno tocca proprio Lui a non nascere. Non deve: un po’ come quelle politiche tese all’infanticidio che ormai non fa più notizia e prorogato fino al nono mese di gravidanza. O con la scusa di un virus che rimanda indietro cure e miracoli.
Ci è stato rubato il Natale quando hanno iniziato a sospendere Cristo, vietandocelo per DPCM, quando ci viene impedito di aiutare gli altri per paura di contagiar(si), quando per paura di morire si finisce a rinunciare alla vita, quando si confida nel vaccino anche per la cura dell’anima.
Ma a Napoli, a San Gregorio Armeno è Natale sempre, è Natale nelle idee e nei pensieri, è Natale tra le pietre e tra la gente, è Natale nel caffè sospeso e nel panariello solidale, è Natale nella realtà e nella speranza. È Natale dal momento in cui è comparsa la mascherina anche sui pastori, ma non sul Bambinello che ora nasce. E che nascerà ancora!