lunedì, Dicembre 2, 2024
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C’E’ “NAPOLI CONTEMPORANEA” E LA NAPOLI CONTEMPORANEA.

E alla fine la Venere di stracci è stata inaugurata. La statua che coniuga, o almeno dovrebbe nell’intento dell’amministrazione Manfredi, il passato col futuro, la tradizione con l’innovazione. E menomale che c’è Venere – che conferisce valore all’opera – a svettare sopra la montagna di stracci muticolor che da giorni affollano Piazza Municipio, incuriosendo turisti e guadagnando lo sdegno dei soliti bene informati.
Come saggiamente i Padri hanno tramandato “de gustibus non disputandum est”, ma ciò su cui ci interroghiamo non è certo il valore (discutibile) dell’opera, ma il modus operandi di questa classe dirigente autoreferenziale e inetta.
Dopo la chiave di Milot che non sappiamo quanta gente abbia potuto attrarre in città, ora ci viene presentata “Napoli contemporanea”, la manifestazione attraverso cui – parole del primo cittadino Gaetani Manfredi – “Vogliamo far vivere pezzi di città attraverso l’arte contemporanea facendo realizzare installazioni da grandi maestri dell’arte”. O ancora “Questo programma vuole anche essere il segno di una Napoli fiera della propria storia e tradizione, ma che è anche proiettata verso il futuro attraverso la proposizione di opere che fanno discutere sui grandi temi del presente proprio come la Venere degli stracci che unisce l’arte classica con i temi della povertà e della sostenibilità”. A dirla tutta, questa installazione può essere il vero emblema della Napoli di Manfredi, dove regnano caos e disordine, sporcizia e accozzaglia ad ogni angolo della città. Ed è emblema del politichese cui questa classe politica ci ha tristemente abituati: vorremmo chiedere al Sindaco della prima città del Mezzogiorno se, quando cita i “grandi maestri d’arte” o anche la “Napoli fiera della propria storia e tradizione”, si riferisce alla stessa Napoli che non è stata capace di trovare una giusta collocazione – non è azzardata la perifrasi “ha in tutti i modi avversato” – alla statua del Maradona del napoletanissimo maestro Domenico Sepe. Il grande artista chiamato in altra patria, in altri stadi, come il Dall’Ara di Bologna, che ha commissionato un’opera che è un vero e proprio capolavoro. I Padri insegnano anche questa volta: “Nemo propheta in Patria”.
Chissà se il Signor Sindaco e gli accoliti di Palazzo San Giacomo si siano, anche minimamente, resi conto che Napoli, ormai da mesi, è su tutte le pagine di giornali e telegiornali, la città pullula di turisti, gli alberghi hanno fatto registrare il “tutto esaurito” da tempo. Ci auguriamo vivamente di no, altrimenti non si spiegherebbe come mai la città è sempre più sporca e disordinata, in balia di senzatetto che fanno tutto ciò che vogliono ovunque vogliono, che il disordine e la sporcizia la fanno da padrone, che non c’è un servizio di trasporto pubblico degno di questo nome. Questa è la Napoli contemporanea! Che senza “Napoli contemporanea” ha ridato smalto ad una città che non ha bisogno di niente e di nessuno, menchemeno di “genialate” free ed ecosostenibili di una sinistra arcobaleno, Ztl, tutta gauche caviar.
L’autentico miracolo lo ha fatto da sola Napoli, grazie alla sua Storia e alla sua Tradizione; grazie a quei monumenti che “grazie” a quello scellerato “Patto per Napoli”, per la regia del liquidatore di stato “Mariolino” Draghi, oggi è costretta a (s)vendere; a quella collocazione paesaggistica che il mondo intero ci invidia; a quella cucina che, nonostante imbarbarimenti e imbastardimenti, continua ad essere il riferimento della dieta mediterranea; a quella napoletanità invidiata e mai riuscita a copiare, ad imitare, ad esportare. A rubare, tiè! All’arte, alla storia, alla cultura che, con una botta di politically correct, si vuole cancellare. Eppure, anche nel giorno dell’inaugurazione, quando i tassisti scorrazzano turisti, mentre la Municipale blocca il traffico perché si è fatta una sosta dove non si potrebbe fare creando file e ingorghi, mentre macchine e motorini sfrecciano in ogni direzione possibile, dove un bus turistico non fa in tempo a fermarsi che arrivava un bangladese con la sua mercanzia – ma ce lo vedete uno che dal Bangladesh spiega al tedesco di turno il rito apotropaico di iniziazione di un cornetto affinché faccia effetto? – il rumore assordante del traffico che per qualche secondo viene sovrastato dalle ruote dei trolley tirati a forza sui basamenti di pietra lavica, come d’incanto, nel tratto che va da Piazza Trieste e Trento fino alla Biblioteca Nazionale, tutto questo frastuono s’interrompe, non è più parte del corredo urbano che viene soavemente sostituito dalle note della Marcia Trionfale dell’Aida di Verdi e di quelle dell’Inno Nazionale che valicano i confini delle finestre del Regio Teatro San Carlo. Quando una comitiva di Tedeschi, con cappellino in testa e infante sul groppone, si ferma e aspetta il “Sì” – che non verrà mai pronunciato – conclusivo dell’opera per riprendere la marcia. Questa è la Napoli contemporanea! Ma che ne sa Manfredi…
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