2 AGOSTO 1980 : LA STRAGE PRE-CONFEZIONATA; I RIPETUTI DEPISTAGGI; LA PISTA PALESTINESE DI CUI NESSUNO VUOL PARLARE!

Verità giudiziale, verità processuale, verità storica, verità dei fatti: ma è mai possibile che in questo Paese solo la verità non si può avere? E ci deve stare sempre un’altra parola vicino!
Potremmo parafrasare così una celeberrima battuta tratta da La Smorfia del trio Troisi-Arena-De Caro bollato blasfemo in illo tempore. Se solo non stessimo trattando di una tragedia, di un inganno, se solo non avessimo rispetto di chi ha pagato, di chi è stato coinvolto – pagando o no – di chi è stato infamato.
Di un depistaggio. Un altro. Di stato. L’ennesimo.
È trascorso quasi mezzo secolo dalla “strage di Bologna”, subito bollata quale “strage fascista”. Prima ancora che iniziasse il processo, eppure dopo quasi mezzo secolo ancora non si conoscono gli autori, i colpevoli, le cause. Però, sappiamo che è stata una strage fascista. Poi, a tempo debito, le scuse di rito, quelle che potevano arrivare. Quelle di Cossiga, in veste di Presidente della Repubblica, quella a sovranità limitata, quella allattata dal piano Marshall, che disse a Pinuccio Tatarella “Fui fuorviato, intossicato. Ho sbagliato, chiedo scusa a Lei che in questo momento rappresenta la sua parte politica”. Cossiga il “picconatore” che parlò – sua opinione personale, giammai – di “incidente”. Un tragico incidente in cui esplose una bomba, con molta probabilità, trasportata da terroristi palestinesi. Una bomba che non doveva essere innescata in quell’occasione. Probabilmente  indirizzata al carcere di Trani, in Puglia, dove era detenuto un altro terrorista palestinese.

Alla “pista palestinese” di Bologna sono legati (e negati) i nomi di due giornalisti scomparsi dalla faccia della Terra e persino dagli annali delle commemorazioni: si tratta di Italo Toni e Graziella De Palo, due reporter scomparsi la mattina del 2 settembre 1980, quando sarebbero dovuti partire per il Sud del Libano su una jeep del Fronte Democratico di Liberazione della Palestina, unitamente a Piera Radaelli, militante filopalestinese italiana. I due reporter avevano dato opportuna comunicazione circa il loro spostamento – sapevano quel che facevano e a cosa andavano incontro e chiesero di attivarsi qualora non si fossero più avute notizie (di loro due) dopo tre giorni. Ma l’Ambasciata italiana non si mosse che alla fine di settembre e solo su richiesta della famiglia della De Palo. Curiosamente (?) la Farnesina  decise di affidare l’inchiesta sulla scomparsa dei giornalisti italiani al colonnello Giovannone, capo del SISMI a Beirut e non all’Ambasciatore italiano in Libano Stefano D’Andrea, nonostante questi avesse inviato al segretario generale del Ministero degli Affari Esteri Malfatti un telex segreto in cui diceva che il rapimento era opera dell’organizzazione politica e paramilitare Al Fatah e di conoscere persino le identità dei rapitori.
Lo stesso Ministro Malfatti che si scoprirà, poi, essere affiliato alla Loggia P2 e che la scomparsa dei due giornalisti poteva essere collegata alle loro indagini circa il sequestro dei missili ad Ortona (CH) che portò all’arresto del responsabile della struttura militare clandestina denominata FPLP e, dopo pochi giorni, anche del suo leader Habbash.
In quella occasione lo stesso FPLP accuso l’Italia “di non aver rispettato i patti”. Quali patti? Quali accordi faceva la Repubblica per conto dell’Italia con il terrorismo arabo? E quali le punizioni per chi non avesse rispettato i patti? “Conosceranno il vero terrore” ebbero modo di dire i palestinesi, forse proprio Gheddafi in un comizio. Sarà questo il famigerato “lodo Moro” su cui l’allora leader socialista Bertino Craxi pensò di far calare l’oblio apponendo il sigillo di segreto di stato e non desegretato nemmeno dall’ex primo ministro Giuseppe Conte su richiesta del senatore Claudio Barbaro, come fa notare il suo assistente l’avv. De Conciliis.
Quel lodo cui fa riferimento lo stesso padre della Dc nei suoi 55 giorni di sequestro e che riguarda in accordo segreto della dirigenza palestinese e il SISMI nella persona del colonnello Giovannone, cui lo stato italiano non seppe dare risposte se non le sedute spiritiche di Prodi e la teoria secondo cui “non bisognava trattare col terrorismo”, voce del verbo “non ci sarebbero stati coinvolgimenti diretti dell’Italia negli attentati palestinesi, ma l’Italia dal canto suo metteva a disposizione il libero accesso alle organizzazioni anti-israeliane dell’OLP, oltre che la nostra penisola si sarebbe trasformata nel corridoio sicuro, oserei dire protetto, di armi ed esplosivo. In cambio gli Arabi ci avrebbero garantito regolare flusso del petrolio per l’ENI e accordi commerciali con Fiat. È forse questo l’incidente cui fa appello Francesco Cossiga? O si è trattato di ritorsione – leggi punizione – per il sequestro dei missili ad Ortona su cui indagavano Italo Toni e Graziella De Palo?
Forse la strage “fascista” di Bologna è solo il modo in cui il terrorismo palestinese aveva alzato il tiro dopo il duplice attentato all’aeroporto di Fiumicino del 1973 e del 1985 costata la vita a 34 e 13 persone. Prima e dopo il lodo.
Così fascista la strage, che si scoprirà, poi, sempre poi, che le BR erano il braccio armato ed esecutore dei collaboratori Olp e Fplp. Le stesse BR “lavatrici” del caso Moro e salvate dall’Inquisizione del giudice istruttore Imposimato che – si dice – che se non gli fossero stati nascosti dei documenti le avrebbe incriminate per associazione in concorso nel sequestro Moro: i Servizi avevano scoperto dove le BR tenevano prigioniero Moro, ma i Carabinieri di Dalla Chiesa e la Polizia due giorni prima dell’uccisione ebbero ordine di abbandonare il luogo attiguo a quello della prigionia.
C’è anche un’altra ipotesi/verità che aleggia sulla strage “fascista” di Bologna e ha a che fare ancora una volta con i mandanti/ideatori(?) del sequestro Moro. Si tratta delle “correlazioni” con un’altra strage, l’edulcorato -e mai risolto – disastro di Ustica, dove persero la vita 81 persone. Dopo oltre quarant’anni possiamo certamente dire che il DC-9 fu abbattuto. Le analisi condotte sulla carena del velivolo (sulla fusoliera intatta) non lasciano spazi a dubbi: non si trattò di incidente, di anomalie, né di un ordigno a bordo. Nell’abbattimento del velivolo furono coinvolti i militari franco-americani contro la Libia. Il DC-9 fu colpito e abbattuto durante un combattimento NATO contro un Mig libico sul quale avrebbe dovuto trovarsi Gheddafi. Se si fosse accertata la verità, non si sarebbe non potuto chiamare in causa la CIA, i Servizi di vari Stati, non escluso il Mossad. E i nostri Servizi? Se avessero saputo, avrebbero dovuto mettere in discussione la nostra permanenza nell’Allenza atlantica: eravamo in piena guerra fredda e… la storia dovrebbe essere riscritta.
L’ipotesi non è proprio campata in aria, ma del suo fondamento parlano anche un militare ed ex 007 del Gladio (G-71) Antonino Arconte e l’on. Cipriani del DP il quale ebbe a dire alla Camera dei Deputati che  “quella di Bologna rispetto alla precedenti fu una strage anomala, perché avvenne in una situazione politica ampiamente stabilizzata, tale da tranquillizzare gli alleati del nostro Paese; perciò la strage assume la caratteristica di un tentativo di cancellare dalla città l’attenzione della stampa, dal dibattito politico, dall’opera dei magistrati la strage di Ustica. Perché proprio Bologna? E’ presto detto.  Innanzitutto perché a Bologna risiedevano gran parte dei familiari delle vittime di Ustica, che dovevano essere zittiti con una strage di enormi proporzioni in città. In secondo luogo, perché il SISMI poteva contare sull’appoggio di importanti magistrati alla Procura della Repubblica. Infine, la interpretazione in chiave politica, di attacco alla roccaforte del PCI, sarebbe essa stessa stata un depistaggio sui reali obiettivi, scaricando, sulla manovalanza fascista, ampiamente infiltrata dal SISMI, le responsabilità”.
Mettiamoci pure che il 02 agosto 1980, lo stesso giorno della strage di Bologna, l’Italia a La Valletta firmò un accordo per proteggere Malta da possibili attacchi libici, nell’ambito della crisi tra i due Paesi. Accordo che, come dirà il diplomatico inviato dal Governo guidato da Giuseppe Zamberletti, fruttò le minacce libiche all’Italia. Anche quelle delle indagini di Priore che parrebbe individuare una origine cecoslovacca e militare, venduto in grandi quantità, nel materiale esplosivo, utilizzato per altri attentati e venduto dalla Libia anche a Cosa Nostra. Si tratta del Semtex, utilizzato nella strage (leggi depistaggio) di Via d’Amelio a Palermo.
Si potrebbero ancora citare le indagini di Priori, che porteranno a scoprire – ma non a capire – come mai di tre amiche si salva quella più vicina al luogo dell’esplosione, degli affetti personali femminili ritrovati nella stazione ferroviaria di alcune terroriste arabe vicino alla sinistra di casa nostra e, così, continuare ancora e ancora e ancora…
Come tutti gli anni, il 2 agosto è diventata l’ennesima commemorazione dove si sprecano retorica e parole vuote e sempre uguali, scritte da ghostwriter e spin doctor del politico di turno per far piacere ai soliti noti, agli utili idioti: le scuse – una tantum – ci sono state, l’onta nera sulla strage si è affievolita nel grigio, ma rimane la macchia. Anche per chi non c’era, per gli inquisiti e poi assolti, per quelli che hanno subito e non dovevano, per i condannati a non si sa a cosa e non si sa perché, per i “collaboratori” ritenuti attendibili anche se i fatti dimostrano il contrario.

Per la “sessantanovesima vittima” che nessuno ha mai cercato, che nessuno ha identificato e che a tutti, tra l’utile disinteresse, conviene non identificarla. Una vittima che potrebbe tranquillamente rispondere al nome di Verità.